Io faccio nuove tutte le cose

E colui che sedeva sul trono disse: ‘Ecco, io faccio nuove tutte le cose’ (Apocalisse 21,5)

All’inizio del nuovo anno ecclesiastico il riferimento a questo versetto biblico è più che naturale. Aspettiamo qualcosa di nuovo, forse qualcosa di inedito, magari una sorpresa. Intanto abbiamo appena conclusa la sessione sinodale che ha assunto una nuova forma anche se la sostanza è rimasta pressoché invariata. Quanto al nuovo, all’inedito, al sorprendente il libro dell’Apocalisse ci offre veramente tanto.
Apocalisse 21 si apre con l’immagine di “un cielo nuovo e una terra nuova”, poiché il primo cielo e la prima terra sono passati. L’autore del libro vede la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. In questo scenario di compimento, Dio annuncia che dimorerà per sempre con l’umanità, asciugherà ogni lacrima e non ci sarà più né morte, né lutto, né pianto, né dolore.
Il versetto 5 rappresenta un sigillo di autorità e di certezza: colui che siede sul trono, l’Eterno, il Sovrano dell’universo, proclama la sua azione creatrice e rinnovatrice. Non si tratta semplicemente di un miglioramento o di una riparazione di ciò che esisteva prima, ma di una trasformazione radicale: tutto viene fatto nuovo.
Questa novità, però, non è solo escatologica, cioè, riferita alla fine dei tempi. È anche una promessa che si realizza già ora, nella vita di chi si apre all’incontro con il Risorto. Il cristianesimo è la religione della novità: “Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove” (2 Cor 5,17). L’Apocalisse porta a compimento questa speranza, mostrando che la storia ha una direzione, che il male non ha l’ultima parola e che la novità di Dio è più forte di ogni rovina umana.
Questa prospettiva invita a riconoscere che non esiste situazione così oscura in cui la potente parola di Dio non possa far germogliare una novità inattesa. La fatica, il fallimento, le delusioni, se vissute alla luce di questa promessa, diventano occasioni di crescita e di affidamento. La fede nel “fare nuove tutte le cose” permette di guardare la realtà con occhi diversi, di non arrendersi al cinismo, di seminare gesti di amore anche dove tutto sembra sterile.
La novità di cui parla Apocalisse 21,5 non è dunque il frutto dello sforzo umano, ma un puro dono. È Dio che fa nuove tutte le cose. Eppure, questa novità non ci rende spettatori passivi. Al contrario, chi accoglie la promessa è chiamato a collaborare con Dio, a essere segno e strumento della sua azione rinnovatrice. “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” diventa allora anche un imperativo, una chiamata a convertirsi, a scegliere ogni giorno la via del bene, della riconciliazione, della giustizia.
L’espressione “fare nuove tutte le cose” implica anche la capacità di custodire la memoria. Nella visione dell’Apocalisse, ciò che viene trasfigurato non viene annullato, ma portato a compimento. La memoria dei dolori, delle lacrime, delle ingiustizie non viene cancellata, ma raccolta e risanata da Dio. L’attesa della novità non è fuga dal reale, ma fiducia che tutto ciò che abbiamo vissuto, anche ciò che non comprendiamo, troverà senso.
Nella fede, il passato non è un peso che schiaccia, ma una storia che Dio può riscrivere. Il futuro non è una minaccia, ma una promessa aperta. L’Apocalisse ci invita a vivere con lo sguardo rivolto avanti, ma con il cuore radicato nella gratitudine per il cammino già percorso.
“Ecco, io faccio nuove tutte le cose.” Questa promessa, che risuona al termine della Bibbia, è il cuore del messaggio evangelico. È la nota finale di speranza che attraversa tutta la Scrittura, il sigillo posto sul cammino dell’umanità. In un mondo che cambia, spesso fragile e incerto, questa promessa resta una roccia su cui costruire. La novità di Dio è sempre in arrivo, discreta ma potente, pronta a sorprendere chi ha occhi e cuore aperti. Ogni giorno, nell’ordinarietà della nostra esistenza, possiamo accogliere questa parola e lasciarla risuonare: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose.”

past. Pawel Gajewski

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