La presenza continua di Gesù Cristo nella storia del mondo e dell’umanità è uno dei punti cardinali dell’intero Nuovo Testamento. Il capitolo 1 degli Atti degli Apostoli afferma questa presenza, usando le categorie di partenza e di ritorno (1,11). Il Vangelo secondo Matteo (28, 20b) dichiara tale verità in maniera più esplicita: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente». Anche qui, però, la presenza di Gesù sembra limitata all’età presente, lasciando senza definizioni chiare il futuro.
Il nostro brevissimo brano Eb 13,8 afferma in modo ancora diverso la presenza continua di Gesù Cristo. La prima cosa che colpisce, leggendo il brano in greco, è la mancanza del verbo, come se l’autore non volesse rinchiudere il suo discorso nei limiti ontologici che impone la coniugazione del verbo «essere». Il soggetto è invece definito molto precisamente «Gesù Cristo». Forse ci si dimentica troppo facilmente che questa espressione è una confessione di fede. Questo Gesù è il Cristo, l’Unto del Signore, il Messia atteso. Anche il versetto stesso è una confessione di fede contrapposta a «dottrine diverse ed estranee» (v.9)
Molto particolare è il vocabolario usato per circoscrivere la cronologia: «ieri e oggi e in tutti gli eoni». Di quale ieri si tratta? Potrebbe essere la sua predicazione di ieri, i sentieri della Galilea e della Giudea, i miracoli che Egli ha compiuto e la crocifissione. Ma forse c’è anche un altro «ieri», quello di Abraamo, di Isacco di Giacobbe, di Mosè e dei profeti? E di quale oggi si parla? È l’«oggi» immediatamente dopo la risurrezione, l’ascensione e la Pentecoste, segnato dalla predicazione apostolica oppure si tratta del nostro «oggi»?
L’autore non parla però del domani, egli spezza la breve catena della cronologia comune. Il testo, affermando che Gesù Cristo deve essere considerato «lo stesso ieri e oggi», passa subito ad un linguaggio meno comune: «in (tutti) gli eoni», vale a dire «eternamente, sempre».
Che cosa ci insegnano queste considerazioni esegetiche?
Prima di tutto ci insegnano che Gesù Cristo non può essere ridotto ai trent’anni della sua vita terrena. Il Figlio di Dio, eternamente preesistente, ha rivelato in un determinato momento della storia umana la pienezza della divinità e la verità ultima su Dio stesso. La sua presenza in mezzo a noi è duttile e viva. E poi l’autore della Lettera agli Ebrei cerca di dimostraci che il domani si sottrae alle nostre cronologie e alle logiche umane. In Cristo Gesù tutto ciò che ha a che fare con l’amore incondizionato del prossimo è destinato a durare per sempre.
Ermanno Genre